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Pasquino, statua parlante

“Sono molti di parere, che questo Tronco di Statua sia corrispondente al Tronco di Belvedere. La derivazione del nome di Pasquino si stima esser venuta dal volgo, che così suole appellare ogn'uomo sciocco; Ma si sa per antica tradizione, aver qui abitato un certo... [+]
“Sono molti di parere, che questo Tronco di Statua sia corrispondente al Tronco di Belvedere. La derivazione del nome di Pasquino si stima esser venuta dal volgo, che così suole appellare ogn'uomo sciocco; Ma si sa per antica tradizione, aver qui abitato un certo Sarto, uomo maledico, e ridicolo alla conversazione del quale molti correvano, il di cui nome, o sopranome, era di Pasquino, morto il quale si stima, che restasse alla detta Statua il suo nome, lascio però che in questa parte tenga ciascuno il suo parere, per non averne ritrovata alcuna prova autorevole". (Posterla F.-Cecconi F., Roma sacra e moderna già descritta dal Pancirolo ed accresciuta da Francesco Posterla, Roma 1725, pp. 552)     [-]

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“Nel Tronco sudetto era costume d’attaccar le Satire, o libelli infamatorii (sacrilegi, ed obominevoli parti di penne sfaccendate, e d’ingegni proervi dal nome del quale eran detti Pasquinate).” (Posterla-Cecconi 1725, pp. 552-553)

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La statua mutila di Pasquino è la più famosa delle c.d. sei “statue parlanti”, antichi simulacri della cui identità si perse nel tempo il ricordo e su cui per secoli i romani hanno affisso frasi di scherno e satire politiche.  Diverse sono le leggende legate all’origine del nome “Pasquino”, la più famosa delle quali lo ricollega ad un sarto (o maestro di scuola), chiamato appunto Pasquino, che aveva la sua bottega (o dimora) nei pressi di piazza Navona (Rione Parione). Il poveretto, bersaglio dei motti e delle sferzate sarcastiche dei maldicenti, ben presto passò a miglior vita privando la combriccola pettegola della loro vittima preferita. Nel demolire l’edificio del suo esercizio venne dissotterrata la statua suddetta, presto considerata come la “resurrezione dagli Inferi” dell’infelice sarto. Così, per dare un seguito all’abituale bersagliamento sarcastico, si cominciò ad affiggere sulla statua, come fossero i pensieri della stessa, epigrammi satirici. Se in vita il sarto era stato vittima, nella morte diventava il portavoce degli antichi carnefici e di tutti coloro che avevano qualcosa di cui lamentarsi. Così alla statua mutila e malconcia veniva data una nuova lingua, quella del popolo.

Exacue interea lingua, quae sola remansit, Pasquine, et salibus vulgus adure tuis;  “aguzza frattanto la lingua, che sola ti è rimasta, o Pasquino, e fa alzare con le tue sferzate la pelle al Volgo” (Pinachoteca, sine romana pictura et sculptura. Roma 1673, p.235).

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Antonio Lafréry, Speculum Romanae Magnificentiae, Roma, 1550.

Per Pasquino venne istituita addirittura una festività che cadeva lo stesso giorno della processione condotta nel Rione Parione in onore di San Marco evangelista (25 aprile). La festa goliardica non era malvista dal papato che anzi, in forza degli epigrammi esposti che esaltavano il regime, si preoccupava di scegliere e pubblicare i migliori dei versi esposti. Ogni anno studenti e professori dell’Archiginnasio della Sapienza mettevano alla statua una maschera raffigurante di anno in anno un personaggio diverso, indirizzando così l’argomento degli epigrammi composti per l’occasione. La festa ufficiale durò dal 1508 al 1539. Parallelamente si affermò un “pasquinismo clandestino notturno” che si opponeva al regime, i cui protagonisti erano spesso i potenti della parte avversa che commissionavano ai poeti epigrammi diffamanti. La festa mantenuta clandestinamente durò fino al 1870, ma oggi il comune l’ha ripristinata; i cittadini affiggono apigrammi contro il potere  e i migliori vengono letti pubblicamente in Piazza Navona, mentre un sito on-line raccoglie quotidianamente le “pasquinate” più irriverenti.

Oggi la statua si trova nella piazza a lui intitolata, nei pressi di Piazza Navona, lì dove venne ritrovata agli inizi del XVI secolo durante i lavori di Palazzo Orsini (l’odierno Palazzo Braschi).

 

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Gruppo scultoreo di Menelao e Patroclo.

La statua di Pasquino è oggi considerata parte di un gruppo scultoreo rappresentante Patroclo e Menelao. Il viso mal conservato di Pasquino era in realtà quello di Menelao che un tempo sorreggeva il corpo morto dell’amico Patroclo di cui rimane poco più di un frammento di addome. Nell’immagine qui riportata il disegno che Italo Gismondi realizzò seguendo l’interpretazione di Giuseppe Lugli è messa a confronto con quella che viene considerata una replica antica, sebbene restaurata nel ‘500, del gruppo scultoreo di Pasquino conservata nella Loggia dei Lanzi a Firenze. Da notare che la testa di Menelao nel Pasquino è rivolta verso l’alto e non verso il compagno morto come nel gruppo della Loggia dei Lanzi.

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Particolare della testa di Pasquino.

Testi: Maria Mazzella
Foto: Maria Mazzella
A cura di Patrizia Fortini.

– Povero mutilato dar Destino,
come te sei ridotto!
– diceva un Cane che passava sotto
ar torso de Pasquino –
Te n’hanno date de sassate in faccia!
Hai perso l’occhi, er naso… E che te resta?
un avanzo de testa
su un corpo senza gambe e senza braccia!
Nun te se vede che la bocca sola
con una smorfia quasi strafottente… –
Pasquino barbottò: – Segno evidente
che nun ha detto l’urtima parola.

Trilussa

(Trilussa, Giove e le bestie, Milano, 1932)

 

-Bibliografia-

– Posterla F.-Cecconi F., Roma sacra e moderna già descritta dal Pancirolo ed accresciuta da Francesco Posterla, Roma 1725, pp. 552-553

-Trilussa, Giove e le bestie, Milano, 1932

-Stefano Corsi, Pina Ragionieri, Speculum Romanae Magnificentiae. Roma nell’incisione del Cinquecento, Firenze, 2004.

– Mario dell’Arco, Pasquino, in Capitolium 2, anno XLII, febbraio 1967, p. 13.

– Giuseppe Lugli, Osservazioni sul gruppo di Menelao e Patroclo volgarmente detto il Pasquino, in Bollettino d’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione, Milano-Roma, 1929, n°1 luglio, pp. 207-225.

-Costantino Maes, Curiosità Romane, Roma, 1983.

 

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